Quella di ieri è stata, per lo S&P 500, il principale indice americano, la 4° giornata consecutiva di rialzo. Un andamento che interrompe una fase piuttosto negativa, iniziata verso la seconda metà di agosto, che aveva riportato le quotazioni ai valori della tarda primavera. Un periodo di circa 2 mesi e mezzo in cui le preoccupazioni legate alla “resistenza” dell’inflazione e alla conseguente necessità, da parte delle Banche Centrali, di confermare politiche monetarie restrittive avevano preso il sopravvento.
E’ sicuramente presto per dire se il recupero di questi giorni sia l’inizio di una nuova fase o, invece, sia solo dettato dal desiderio di allontanare una fase negativa.
Certamente quanto deciso e, ancor di più, detto da Powell mercoledì, nel momento in cui la FED ha confermato i tassi attuali (5,25/5,50%) ha avuto un impatto fortemente positivo. L’atteggiamento della Banca Centrale Usa è parso un po’ meno “falco”: vero che il Presidente della FED si è tenuto una “via di fuga” (“ci domandiamo se dovremo alzare ancora”), ma pare evidente che qualcosa è cambiato. Da tempo non si vedeva una pausa così lunga e non pochi sono coloro che ritengono che non sia finita.
A venire “in soccorso” della FED potrebbe essere la situazione in cui si trova l’economia “stelle e strisce”. Il terzo trimestre è stato clamorosamente positivo, ma i primi dati relativi al quarto lasciano spazio a più di un dubbio: i modelli della stessa Banca Centrale fermano, infatti, la crescita, per l’ultimo “quarter” dell’anno, ad un ben più modesto 1,2%, a distanza “siderale” dal precedente. Peraltro, la maggior parte degli analisti è convinta che il rallentamento è “coerente” con un atterraggio morbido dell’economia, quel famoso “soft landing” obiettivo dichiarato della politica monetaria americana.
Oltre all’aspetto “psicologico” di cui si è fatto cenno in precedenza (lasciarsi alle spalle “l’ipervenduto” degli ultimi 70/80 giorni), ad incidere potrebbe anche essere l’avvicinarsi di fine anno, motivazione non banale in considerazione del fatto che molte Banche d’affari e società di Asset Management devono arrivare a quella data con risultati interessanti per i loro clienti.
C’è poi una argomentazione puramente “tecnica”, legata alla situazione del debito pubblico USA. Per quanto, come noto, si trovi a livelli mai registrati prima d’ora (oltre $ 34.000 MD), la previsione di nuove emissioni, seppur importanti (circa $ 1.700 MD), sembrerebbe inferiore a precedenti stime e, soprattutto, pare che il Tesoro Usa sia intenzionato ad indebitarsi con emissioni concentrate su durate “brevi” piuttosto che sulla parte “lunga” della curva, cosa che lascerebbe intendere che, nel prossimo anno, i tassi (peraltro non solo quelli “corti”) sono destinati a scendere.
Sullo sfondo rimane sempre l’aspetto geopolitico, con particolare riguardo alla crisi mediorientale. A quasi 1 mese dallo sconsiderato attacco di Hamas, Israeliani e Palestinesi non si stanno certo scambiando “ramoscelli d’ulivo”. Ma è pur vero che, al momento, al di là di qualche “scaramuccia”, il conflitto non si è allargato e che l’esercito di Israele non ha invaso Gaza, per quanto abbia intensificato i bombardamenti. Ma la nuova azione diplomatica americana, con il “globe trotter” Blinken oggi di nuovo a colloquio con Netanyahu, con l’obiettivo di portarlo ad accettare una tregua, fa intendere quanto forte sia la pressione per mantenere il conflitto sotto controllo ed evitare pericolose escalation. Né i mercati, al momento, sembrano prestare particolare attenzione alle manifestazioni quasi “intimidatorie” nei confronti del popolo ebraico che si stanno moltiplicando in più di un Paese.
Giornata quasi “trionfale”, come non si vedeva da mesi, quella di ieri per i mercati europei e americani, con rialzi vicini, in alcuni casi, al 2%.
Un andamento che prosegue, questa mattina, sui mercati asiatici.
Chiusa Tokyo per festività (è il Giorno della Cultura, evidentemente una ricorrenza non banale per la tradizione nipponica), Shanghai sale dello 0,71%, mentre si può parlare di vero e proprio rimbalzo da parte dell’Hang Seng di Hong Kong, che si appresta a chiudere ben sopra il 2,5%.
Futures contrastati sulle 2 sponde dell’Oceano: improntati al rialzo quelli europei (Eurostoxx 50 + 0,38%), leggermente negativi quelli USA.
In risalita i prezzi del petrolio, con il WTI a $ 82,74 (+ 0,22%).
Buon apprezzamento per il gas naturale Usa, a $ 3,548 (+ 2,02%).
“Bussa” di nuovo alla porta dei $ 2.000 l’oro (1.994).
In forte calo lo spread, a 184 bp, minimo da più di 1 mese a questa parte.
BTP a 4,62%.
Bund 2,71%.
Deciso calo anche per il treasury, cha dal 4,73% di ieri si porta al 4,62%.
€/S 1,0633.
Sempre intorno ai $ 35.000 (34.491, – 1,31% questa mattina) il bitcoin.
Ps: impossibile non farsi prendere, oggi, dalla nostalgia. Ieri, infatti, è uscito un brano dei Beatles, tratto da una registrazione della voce di John Lennon, sembra realizzata a fine anni 60 (parrebbe nel 1967). Attraverso l’intelligenza artificiale (tecnica MAL, Machine Audio Learning), la voce di John Lennon è stata isolata dal suono del pianoforte e utilizzata come “master track” da Paul Mc-Cartney e Ringo Starr, gli unici 2 rimasti della band, insieme a Giles Martin, figlio di George Martin, lo storico produttore del gruppo inglese, da tutti definito il “5° beatle”. Lunga vita ai Beatles e, ancor di più, alla loro musica.